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IN SILENZIO di Ottavio Di Stefano
mer 25 nov, 2020

 

I candidi marmi della scalinata di accesso degli Spedali Civili di Brescia hanno conosciuto e conoscono emozioni forti. La preoccupazione, la sofferenza, la speranza di chi sale e cerca risposte.

Per secoli, fin dalla sua fondazione, nel 1427, quando si chiamava Hospitale unum magnum et universale, le donne e gli uomini del “Civile” hanno fatto professione del suo simbolo.

logo dell'asst spedali civili di brescia

A partire da quell’enigmatico MIA, abbreviazione nella scrittura medioevale che indica la parola misericordia, e ai ceppi o manette dei carcerati.

Perché il Civile da sempre cura tutti.

Orgoglio dei bresciani e, lasciatemelo dire, di ancor più grande orgoglio per chi ha avuto l’onore di trascorrervi tutta la vita professionale.

Qualche giorno fa, sui quei gradini delle emozioni forti, i camici bianchi, ben distanziati, dei medici, degli infermieri, dei tecnici, degli assistenti sociosanitari e di tanti altri, in rigoroso silenzio, guardando la porta di ingresso del loro ospedale e volgendo le spalle alla palazzina dell’amministrazione, hanno reso manifesti la loro protesta, il loro disagio.

In silenzio, in dignitosa compostezza, rispettando il dolore che vive dietro le finestre della facciata.

Sono le stesse donne e gli stessi uomini celebrati, qualche mese fa, come eroi. Dizione da noi subito rifiutata ricordando “beato il paese che non ha bisogno di eroi”.

Brescia, e non solo, ha bisogno di professionisti motivati con condizioni di lavoro che garantiscono la migliore cura dei malati.

COVID 19 ha reso evidente, drammaticamente evidente, quello che diciamo da decenni. La sanità depauperata di risorse umane, tecniche, strutturali e che non faceva notizia se non nei nostri inascoltati convegni.

Eppure in pochi, malconci, stremati, in ospedale e sul territorio, hanno messo anima e corpo per contrastare la pandemia ed il suo carico epocale di morte e di sofferenza.

E sono gli stessi che stanotte, domenica e per tutti i giorni a venire continueranno a visitare, ad operare, a leggere referti, a lavare, ad assistere i malati.

Cosa vogliono? Essere ascoltati. Ascoltati ed informati tempestivamente, perché da dentro COVID 19 possono dire, con ovvia cognizione di causa, cosa sia meglio fare.

Vogliono sapere se chi decide si muove nell’ambito di un piano organizzativo a breve, a medio e a lungo termine.

Siamo in emergenza ed è vero, non tutto si può pianificare, le decisioni devono essere rapide, immediate. Ed allora a maggior ragione bisognava approfittare dei mesi di tregua per programmare. Assumere medici, infermieri, tecnici, operatori sociosanitari, realizzare strutture non con affannosi ritardi.

Definire quindi piani condivisi di ristrutturazione e di riorganizzazione dell’ospedale rivitalizzando e dando ruolo a strumenti che pure esistono (Consiglio dei Sanitari).

Vogliono sapere se davvero esiste un piano serio di assunzioni a tutti i livelli. Assunzioni stabili, non a tempo, attingendo ai medici degli ultimi anni di specialità con compensi dignitosi.  E questo vale anche per tutti gli ospedali pubblici della provincia, dove la carenza di organico è ancora più drammatica.

Vogliono una relazione diversa e chiara con il privato accreditato, in cui sono presenti, certamente, tante eccellenze, ma che non copre lo spettro ampio delle molte patologie onerose, ma indispensabili, che rimangono esclusivamente a carico del pubblico.

Come è tristemente lontano dalla realtà clinica ed organizzativa lo stillicidio dei provvedimenti regionali.

Il silenzio della scalinata si diffonde fuori dall’ospedale. Entra negli ambulatori dei medici del territorio.

Non c’è talk show dove non vengano attaccati. Non ci sono, non rispondono al telefono… una volta non era così..

L’ho detto tante volte e lo ripeto. Alcuni sono scappati e si sono nascosti dietro la segreteria telefonica. Sono pochi e poveretti.

Una cosa sappiamo di certo.

Nei mesi della prima ondata i malati “ufficiali,” basati sui tamponi molecolari ai soli ricoverati, nella nostra provincia erano 15.000 – 16.000 circa. Ne mancano da 30.000 a 45.000 (dati nostro sondaggio pubblicato nel luglio 2020) curati, con COVID clinicamente evidente, a casa.

Da chi? Da chi per anni è stato lasciato solo, senza mezzi, quasi condannato ad un ruolo subalterno, ma che, nella stragrande maggioranza, ha lottato contro il virus con l’unica arma di cui disponeva: se stesso, pagando, in non pochi casi, altissimi prezzi personali.

Il silenzio della scalinata si diffonde fuori dall’ospedale. Entra nelle Residenze Sanitarie Assistenziali dove SARS-CoV-2 ha fatto strage degli “invisibili”. Ci voleva COVID 19 per renderli visibili.

Ma non erano invisibili per chi nelle RSA lavora. Per chi in questi anni, in assenza cronica e quasi vergognosa di risorse, ha creduto, e ne abbiamo luminosi esempi nella nostra provincia, che si poteva e si può dare una vita di senso e non solo di accudimento, a quelle donne ed uomini che…. “Quando muore un anziano è come se bruciasse una biblioteca”.

Il silenzio della scalinata si diffonde fuori dall’ospedale. Entra nelle strutture per disabili dove altri “invisibili” vengono assistiti con competenza e passione (ne ho personale conoscenza) e che vorrebbero solo avere voce e sentirsi parte di una rete di integrazione vera.

Il silenzio della scalinata si diffonde fuori dall’ospedale. Entra nelle case dei “diseguali” che in questi mesi sono diventati molti di più e che sono l’espressione di un’altra drammatica sofferenza, quella sociale, conseguente a COVID 19.

Se pur con fatica ed amarezza dobbiamo guardare avanti.

Sappiamo che è in corso la discussione sulla legge 23 di riforma sanitaria della Regione Lombardia, in scadenza del periodo sperimentale.

È un’occasione di ripensamento importante e l’Ordine parteciperà al dibattito con proprie prossime iniziative.

Posso solo citare i titoli su cui da anni consumiamo fiumi di inchiostro e parole e che COVID 19 ha reso palesi.

Riorganizzazione vera del territorio, istituzionalizzando il lavoro in team multidisciplinari e multi professionali coordinati, con ambienti e tecnologia adeguati. Sono necessari investimenti importanti per affrontare questioni vere: dai percorsi di prevenzione, alla cura e all’assistenza domiciliare del malato cronico, utilizzando anche strumenti digitali innovativi di interazione con i pazienti. Senza il rafforzamento delle cure primarie è in gioco la sostenibilità del nostro Sistema Sanitario Nazionale (evidenza consolidata in letteratura da decenni).

Integrazione fra i vari setting di cura e il sistema sociale basata su strumenti informatici efficienti.

Riorganizzazione dell’Ospedale: intensità di cura, figure di coordinamento, ruolo differenziato delle aziende ospedaliere.

COVID 19, al di là delle nostre specificità, dovrebbe avere insegnato a tutti che dobbiamo ripartire dalla salute e dalla sanità, pensando ad una riforma ambiziosa, basata su progetti di valore e nel contempo concreti, utilizzando la grande opportunità delle risorse europee, già a disposizione o da venire.

Il confinamento, ci dicono gli esperti, fa pagare un prezzo alto, economico e sociale, a tutti, in primis ai fragili e ai più poveri. Ed allora è cruciale guardare avanti puntando proprio sui settori dell’innovazione della medicina, in termini non solo di interventi organizzativi, ma di ricerca e formazione e di interazione con l’ambiente, che potrebbero davvero costituire un volano di sviluppo sociale ed economico, etico e sostenibile.

Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.”

Ottavio Di Stefano
25 novembre 2020