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"Da bambino volevo guarire i ciliegi"
mer 12 gen, 2022

 

(Sede dell’Ordine dei Medici, una mattina di gennaio 2022)

«La circolare del 6 dicembre…». «Ma no. Non devi riferirti a quella ma al decreto del 26 novembre…».

Un bussare deciso.

Alziamo gli occhi dall’elenco dei colleghi di cui dobbiamo verificare lo stato della vaccinazione. L’elenco, che ci arriva dalla federazione nazionale, non considera molte situazioni e vanno individuate una per una. Ore ed ore, fermi, nell’impossibilità di pensare ad altro, al senso per cui credevamo di essere qui.

«Ciao Bruno (segretario dell’Ordine), ciao pres. Sono passato a ritirare il contrassegno».

Lo conosciamo da anni. Fa il medico di famiglia… Medicina di gruppo, segretaria, infermiera. Sempre entusiasta del suo lavoro.

Guarda i fogli sparsi sulla scrivania. «Ma che fate? Mi sembrate due burocrati. Vi mancano solo le mezze maniche». Bruno, suo grande amico da decenni, lo guarda male: «Se sei venuto per rompere puoi andare a casa subito».

Si siede, per un attimo abbassa la mascherina. Sguardo ed espressione sono improvvisamente mutati.

«Volete la verità? Non ce la faccio più. La burocrazia ci ha sempre tormentato, ma nelle ultime settimane, con la recrudescenza dei casi, non faccio il dottore. Faccio l’impiegato per conto di ATS e Regione. Ieri ottanta telefonate. Sì presidente hai capito bene: ottanta telefonate. Tutte legittime. “Devo fare il tampone, molecolare o antigenico…? Ma in quarantena posso uscire...? Mi deve dare i giorni di malattia…? Sono guarito, le ho mandato l’esito del tampone negativo... ma non si aggiorna il green pass. Mi dicono che è lei che lo deve registrare… Per ognuno di questi ci metto 5-10 minuti e sono svelto con il PC. Sempre ieri avevo 4 appuntamenti in studio di malati cronici con una media pre COVID di 20 al giorno. Dove sono finiti i mei cronici? Seguono la terapia? E il follow up?  Nove ore di ambulatorio.

Lo sappiamo tutti che la figura del medico di famiglia, ed in generale dei medici, è decaduta, ciao alla figura carismatica. Ancora tutti conosciamo le cause. Lo specialismo, la distanza immodificabile, vicino all’incomunicabilità, fra ospedale e territorio, la carenza cronica di personale di supporto. E non mi consola leggere sul BMJ (1) “un recente sondaggio (2016) del Regno Unito, sui medici di famiglia nel sud-ovest dell'Inghilterra, ha mostrato che il 70% intende licenziarsi, ridurre l'orario di lavoro o interrompere la carriera nei successivi 5 anni. Allo stesso tempo, i medici di famiglia sembrano essere più stressati e insoddisfatti che mai…”. Ed ancora non mi consola “che avere tempo sufficiente per vedere i pazienti è un fattore determinante per la soddisfazione sul lavoro del medico di famiglia e che la soddisfazione sul lavoro è fortemente associata alla fidelizzazione del medico di famiglia, un maggiore supporto amministrativo può offrire una soluzione semplice al problema della conservazione del medico di famiglia nel Regno Unito. Tuttavia, è improbabile che questo passaggio da solo risolva il problema. Il nostro modello esplicativo evidenzia anche la complessità del problema e suggerisce che le soluzioni per la conservazione non saranno semplici.”

Ma nonostante tutto mi ha fatto male, molto male, leggere sul giornale del “naufragio della medicina generale”, peraltro scritto da un giornalista di valore che tutti stimiamo.

Hai un bel dire e scrivere pres che senza cure primarie efficienti i sistemi solidaristici ed universalisti come il nostro, ed ormai rari al mondo, non saranno, a breve, più sostenibili. Alcuni di noi si sono defilati o per dirla tutta sono scappati, lo sappiamo e per rubarti una tua espressione: sono pochi e poveretti, ma fanno male a tutti noi.

Perché, nonostante tutto, ci credo ancora. Ci credo ancora quando vedo l’impegno dei giovani medici che fanno il tirocinio con me. Hanno scelto, si scelto, di fare i medici di famiglia, e se pure si moltiplicano le ore, provo grande soddisfazione nel vedere quanto desiderino imparare. Come si applicano e capiscono che questa medicina fatta di ascolto, di relazioni, di conoscenza dei vissuti e di pochi strumenti, serve, anzi è indispensabile, per quello o quella che è seduto lì davanti. Come si applicano per capire che questa medicina è del tutto diversa dalla medicina, giustamente, tecnologica dell’ospedale che hanno conosciuto all’università. Sarebbe drammatico deluderli.

Si, ci credo ancora. E allora pres continuiamo a fare proposte ed iniziative. Ci ascolteranno? Non lo so. Ma l’Ordine deve continuare a battere il ferro. Ci sono i soldi del PNRR e la riforma regionale in attuazione. Facciamoci sentire.

Intanto fai tuo l’appello perché si intervenga rapidamente per ridurre questa burocrazia soffocante.

Ciao, vado. Ho da fare una decina tamponi. Non riesco a farne di più, meno male che ci sono i farmacisti che, per questo, ci sono stati davvero, di grande aiuto».

È sulla soglia. Guarda le nostre facce interdette. Sorride. «Non vi ricordate la canzone - Un Medico - di De André? Comincia così: “Da bambino volevo guarire i ciliegi quando rossi di frutti li credevo feriti ..” e poi “E quando dottore lo fui finalmente non volli tradire il bambino per l’uomo e vennero in tanti e si chiamavano gente ciliegi malati in ogni stagione”. Ciao».

Per il Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Brescia
Ottavio Di Stefano

(1) Long L et al. Understanding why primary care doctors leave direct patient care: a systematic review of qualitative research. BMJ Open 2020;10: e029846. doi:10.1136/bmjopen-2019-029846.