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Out of pocket
ven 02 dic, 2022

 

“La medicina è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità”: queste sono parole di William Osler, considerato il padre della medicina moderna, che risalgono alla fine dell’Ottocento.

Sappiamo tutti che l’evoluzione della medicina degli ultimi cinquant’anni, che non ha precedenti nella storia, sorretta dalle prove di efficacia (evidence based medicine) ha migliorato la probabilità di fare la cosa giusta per il paziente e ridotto l’incertezza. Ma questa permane nell’incontro quotidiano con il malato, e sta nell’arte del medico gestirla.

Se allarghiamo lo sguardo, rispetto all’ambito clinico, tutti vorremmo, al tempo dei grandi sconvolgenti cigni neri, avere più certezze e dovremmo tenere care le poche che abbiamo.

Il Servizio Sanitario Nazionale, che fonda le sue radici nella Costituzione e la traduzione in sistema nella legge 833 del 1978, è una di queste.

Un sistema pubblico, che deve essere, nell’accezione propria, "comune a tutti", "appartenente a tutti".

Quindi, ognuno di noi ha la titolarità del diritto alla salute.

In questi giorni autorevoli contributi sui media mettono in discussione che questo diritto sia ancora garantito.

Le liste di attesa, che già affliggevano il sistema, esasperate dal ritardo prestazionale indotto dalla pandemia e il conseguente ricorso alla medicina privata (37 miliardi out of pocket, di tasca propria - Rapporto Ragioneria dello Stato riferito al 2021), la difficoltà dell’accesso alle cure, la percezione di strutture perennemente in affanno alimentano un diffuso, oggettivo, severo disagio.

La comunità medica da anni denuncia le emergenze del sistema. È quasi stucchevole ricordarle. Definanziamento, mancata programmazione delle risorse, per cui oggi mancano i medici ed ancor di più gli infermieri, tutti per altro mal retribuiti, necessità di nuovi assetti riorganizzativi radicali dal territorio all’ospedale e il rapporto mai completamente definito fra pubblico e privato accreditato.

Il disagio dei pazienti diventa disagio dei medici e di tutti gli operatori della salute. Per fare buona medicina ci vuole impegno quotidiano e studio che si possono realizzare se sono garantite la serenità e la sicurezza quotidiane di chi si fa carico con il proprio lavoro, e ci crede ancora, di garantire il diritto alla salute di tutti.

Il governo è in carica da poche settimane e sarebbe del tutto scorretto esprimere alcun giudizio, ma auspichiamo che si ascoltino gli uomini e le donne che nella sanità lavorano e forse avremo più probabilità di mantenere un Servizio Sanitario Nazionale all’altezza della sua tradizione e come gli italiani si meritano.

Ottavio Di Stefano