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Mancano i medici, colpa dei medici. Capitolo 2
gio 29 dic, 2022

 

“Domenica mattina ore 6 mi sveglio con un dolore di schiena molto forte, ho solo paracetamolo avrei bisogno di un antidolorifico più forte. Serve però ricetta medica”. Questo è l’incipit di una lettera comparsa sul Giornale di Brescia di mercoledì 28 dicembre 2022 (Titolo Peripezie per un antidolorifico: dove sono i medici di base?), cui segue da parte della gentile lettrice il racconto del successivo iter sanitario. L’insistente chiamata alla guardia medica che non risponde, dato che senz’altro verificheremo presso gli organi competenti. Chiamata al 112, intervento di ambulanza e trasporto presso Pronto Soccorso (PS) ospedaliero.

Prime due osservazioni. La signora ritiene che sia sufficiente un analgesico più forte per risolvere il suo problema. Il “dolore di schiena” riconosce molte cause, dalle più banali alle più severe. Va indagato e trattato in relazione alla patologia che l’ha determinato. Ed infatti, nella valutazione del PS, la signora esegue radiografie, ecografia, Tac, esami ematici, valutazione urologica ed ortopedica e viene trattato il dolore. Pur nella situazione del PS, descritta come critica, la signora viene sottoposta ad accertamenti e dimessa con prescrizioni di terapia e consiglio di ulteriori indagini.

Seconda osservazione.

La signora vede infermieri e personale di supporto che “girano come trottole” senza sosta per seguire i pazienti. Se si affannano è perché sono pochi. In Italia mancano 27.000 infermieri. “Niente medici”. L’unico sta al computer, riferisce la lettrice. Certamente svolge anche altre attività cliniche che ovviamente la paziente non può vedere, non essendo stabilmente presente nell’ambulatorio, ma è solo e non per colpa sua.

Ogni giorno in Italia si dimettono (non per pensionamento) 7 medici, 3-4 del sistema di Emergenza Urgenza. Ed infatti in tale settore vi è carenza di 4000 medici.

La signora, se pur dopo lunga attesa, ha ottenuto la risposta possibile ai suoi bisogni dai pochi medici e dai pochi infermieri che nella situazione attuale “girano come trottole”.

La signora si chiede ancora “Perché i medici non visitano e non fanno diagnosi”; nel suo caso crediamo che una diagnosi, suffragata da indagini cliniche e strumentali, sia stata fatta.

“Perché sono diventati amministrativi burocrati che guardano solo esami?”. Da dati documentati il 50% del lavoro medico nelle cure primarie è burocrazia. Capiamoci bene: burocrazia non è aggiornare e consultare la cartella informatica. Burocrazia è la compilazione di record, di modulistica che nulla ha a che vedere con il lavoro medico, e per di più utilizzando un sistema informatico che spesso non funziona.

Mancano medici, ed ancor di più infermieri, ed allora perché non si assume personale informatico ed amministrativo che forse non sarebbe difficile reperire tra i tanti giovani in cerca di occupazione?

La gentile lettrice si interroga su un’altra possibile motivazione per cui i medici non visitano: la “paura di contagi”.  Rigettiamo con fermezza questa non ipotesi. Medici del territorio ed ospedalieri, infermieri e personale tutto della sanità, nella fase più acuta della pandemia hanno dimostrato dedizione ed impegno estremi e molti ne hanno subito le conseguenze patendo la malattia, e non pochi, anche nella nostra provincia, con il sacrificio della vita. No, gentile signora, queste parole sono inaccettabili e non giustificabili neppure dalla non conoscenza della realtà che i medici hanno vissuto curando i malati con COVID-19.

Un’ultima nota in merito al titolo “dove sono i medici di base?”. Dove sono i medici di base alle 6 di una domenica mattina? La risposta sarebbe ovvia, ma parziale e comprendiamo che il titolo prescinde dal caso particolare.

Dove sono i medici di base? Sono negli ambulatori, soffocati dalla burocrazia, da sistemi di comunicazione obsoleti ed inefficienti, senza personale, senza strumentazione, sottopagati e valutati più sulla correttezza dei report amministrativi che sugli esiti clinici. Sono i giovani medici che alla fine del corso di studi, quando scoprono questa realtà triste, si disamorano di una scelta che per molti era la motivazione per cui hanno studiato.

Il disagio medico, in tutti i setting di cura, è diffuso e profondo e, siamo tutti d’accordo, è indispensabile e “urgente” una riforma radicale della sanità mantenendo saldi, si spera, i principi costituzionali e fondativi del Servizio Sanitario Nazionale. Garantendo quell’accesso alle cure a tutti che, e non abbiamo alcun problema ad ammetterlo, oggi è in crisi.

Eppure, nonostante tutto, la maggioranza dei medici, sul territorio ed in ospedale, crede ancora in questo lavoro e lo dimostra con l’impegno quotidiano fatto di tante ore in più e di rinunce alla vita famigliare e sociale. Le eccezioni, che spesso fanno notizia, sono poche e miserevoli.

Ma fa notizia anche la gratitudine - come riportato qualche giorno fa dallo stesso giornale - della moltitudine dei pazienti di un collega di Medicina Generale che ha raggiunto la pensione. Ed è un sentimento molto più diffuso di quanto si creda.

I medici di famiglia sono uno degli assi portanti del Servizio Sanitario Nazionale. Per ora, in condizioni critiche, resistono, ma vorrebbero essere ascoltati, come tutti gli altri medici, per riavere “indietro”, certo con l’ausilio prezioso delle nuove tecnologie e di personale di supporto, il tempo clinico che altro non è che stare ad “ascoltare, capire e rispondere” ai bisogni del paziente e della comunità.

Il Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Brescia