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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Terapia di breve durata per le infezioni delle vie urinarie del bambino. Lo studio clinic randomizzato SCOUT"
gio 13 lug, 2023

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Zaoutis T, Shaikh N, Fisher BT, Coffin SE, Bhatnagar S, Downes KJ, et al.
Terapia  di breve durata per le infezioni delle vie urinarie del bambino. Lo studio clinic randomizzato SCOUT
JAMA Pediatr. 2023 Jun 26:e231979.
 
Nella grande maggioranza dei casi, la durata della terapia delle più comuni infezioni batteriche del bambino è codificata in 10 giorni. In realtà, per moltissime di queste malattie, l’effettiva necessità di somministrare un antibiotico per un periodo di tempo così lungo non è dimostrata e la raccomandazione, per altro presente nelle linee guida ufficiali della quasi totalità delle società scientifiche, è soltanto mutuata dalla vecchia evidenza che l’eradicazione di Streptococcus pyogenes dal faringe dei soggetti con faringotonsillite streptococcica non è certa se la terapia con penicillina dura meno di 10 giorni. La durata della esposizione agli antibiotici è, tuttavia, strettamente correlata con alcuni degli elementi negativi conseguenti all’uso di questi farmaci. Tanto più lunga è la durata della terapia antibiotica, tanto maggiori sono i rischi di selezione di batteri resistenti, di disbiosi intestinale e di eventi avversi correlati ai farmaci e maggiore è la spesa sanitaria. Tutto questo spiega perché, ormai da molti anni, numerosi studi hanno cercato di verificare se, almeno in certi soggetti ed in particolari condizioni, la terapia di certe comuni infezioni batteriche poteva essere limitata a periodi più brevi, in genere di 5-7 giorni. Lo studio di Zaoutis e collaboratori va esattamente in questa direzione. Questi autori hanno analizzato il problema nei bambini con infezione delle vie urinarie (IVU) effettuando uno studio clinico randomizzato in un gruppo di soggetti di età compresa tra 2 mesi e 10 anni con IVU microbiologicamente documentata. La forza dello studio e la dimensione del campione sono state calcolata in modo da poter valutare se la terapia breve potesse condizionare un rischio di fallimento inferiore o superiore del 5% di quello della terapia standard, differenza ritenuta sufficiente a dichiarare la non inferiorità o l’inferiorità di uno schema sull’altro. Tutti i bambini arruolati hanno ricevuto un antibiotico per 5 giorni e, al termine, i 664 con chiara evidenza di miglioramento clinico sono stati randomizzati a proseguire la terapia per ulteriori 5 giorni o a ricevere un placebo. Per valutare l’efficacia dei due schemi di terapia sono state programmate 2 visite di controllo, a 11-14 giorni e a 24-30 giorni dall’inizio dello studio. Si è considerato fallimento terapeutico la presenza di IVU sintomatica nel primo controllo, la positività dell’urinocoltura con o senza sintomi nel secondo. I risultati hanno dimostrato la superiorità della terapia tradizionale perché al primo controllo il fallimento è stato dimostrato in 2 soggetti (0,6%) con terapia di 10 giorni e in 14 (4.2%) di quelli con terapia breve. La differenza era statisticamente significativa (P <0,01) e il calcolo della percentuale di differenza tra i 2 schemi ha dimostrato che questo era, anche se di molto poco (5,5%), superiore al 5%, indicando, quindi, che il tentativo di dimostrare che la terapia breve era non inferiore a quella lunga era fallito. D’altra parte, anche i controlli a distanza hanno dimostrato che la terapia delle IVU per 5 giorni era inferiore, essendo più frequente nei bambini trattati con questo schema sia le IVU sia la batteriuria. Gli autori hanno concluso che, vista la piccola differenza tra i 2 schemi e il fatto che la stessa metodologia dello studio poteva aver condizionato i risultati, una limitazione a 5 giorni della terapia delle UTI nei soggetti che dopo questo periodo non hanno più sintomi potrebbe anche essere considerata. Il fatto che il primo controllo sia stato eseguito a distanza di alcuni giorni dall’ultima somministrazione di antibiotico nei soggetti con terapia di 5 giorni e subito dopo la fine della terapia in quelli che sono stati trattati per 10 potrebbe, infatti, spiegare le piccole differenze dimostrate nella frequenza di fallimenti al primo controllo.

Il commento a questo studio è facile, anche perché sullo stesso numero di JAMA Pediatrics è presente un editoriale di una coppia di autorità in materia (1), editoriale.che solleva una serie di perplessità sul lavoro in sé e le conclusioni relative.  La prima perplessità metodologica è legata al fatto che nel lavoro non è stata fatta alcuna distinzione tra IVU basse (cistiti) ed IVU alte (pielonefriti), due condizioni estremamente diverse, per gravità clinica e rischi a distanza, per le quali tutta la letteratura dell’adulto, e non pochi lavori pediatrici del passato, indicano una diversa risposta alla durata della terapia. Le pielonefriti richiedono un trattamento prolungato, le cistiti passano in pochi giorni e metterle insieme in questo lavoro ha certamente creato il rischio che una diversa distribuzione delle due forme tra i 2 gruppi possa, di per sé, aver determinato le differenze dimostrate.  Un secondo elemento negativo del lavoro è l’aver considerato la terapia antibiotica un tutt’uno, senza alcuna distinzione tra farmaco e farmaco. In questo lavoro sono stati utilizzati amoxicillina-clavulanato, cefalexina, cefdinir, cefixima e co-trimossazolo senza tener conto del fatto che numerosissimi studi clinici condotti nell’adulto hanno dimostrato come, sia per le cistiti sia per le pielonefriti, la terapia con betalattamici sia più spesso associata a fallimento di quanto non valga per i chinolonici e il co-trimossazolo. Infine, la stessa limitazione segnalata dagli autori può, effettivamente aver giocato un ruolo di estremo rilievo. È a tutti noto che l’evidenza di un eventuale fallimento, con ripresa della moltiplicazione batterica ed evidenza di urinocoltura positive, è molto più facile se il controllo dista qualche giorno dalla fine del trattamento che non se questo viene effettuato subito dopo che la terapia è sospesa. Specie se sono stati utilizzati farmaci a relativamente lenta eliminazione che assicurano ancora per qualche tempo concentrazioni urinarie utili a ridurre, per senza eliminare, la moltiplicazione batterica, un controllo precoce può non evidenziare il fallimento. Quindi, per concluderla con gli autori dell’editoriale, qualche ulteriore studio sarebbe necessario anche se, visto che la differenza di efficacia tra terapia breve e terapia lunga è modesta, può non essere considerato un dramma limitare la terapia a 5 giorni nei bambini che sembrano guariti dopo questo periodo, fatta salva una attenta valutazione dell’andamento successivo dei singoli casi.

Questo lavoro suggerisce un secondo commento, questa volta personale e decisamente più generico. Ridurre la durata della terapia è importante ed è probabile che in molte malattie ciò sia possibile senza danni per il paziente e con una serie di notevoli vantaggi per il paziente stesso ed il sistema sanitario. E’ giusto studiare il problema ma anche prendere nota che non siamo ancora pronti a farlo senza correre rischi. Una recentissima analisi per quanto riguarda le infezioni respiratorie sottolinea (2) come per moltissime di esse i tentativi di ridurre la durata della terapia non hanno ancora dato risultati definitivi ed è, quindi, ancora giusto attenersi agli schemi di terapia classici ed ancora codificati nelle raccomandazioni degli esperti.   

Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS

(1) Milstone AM, Tamma PD. Does the SCOUT Trial Fall Short of Determining an Effective Treatment Duration for Pediatric Urinary Tract Infections? JAMA Pediatr. Published online June 26, 2023

(2) Principi N, Autore G, Argentiero A, Esposito S. Short-term antibiotic therapy for the most common bacterial respiratory infections in infants and children. Front Pharmacol. 2023;14:1174146.