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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "La patologia invasiva da streptococcus pneumoniae nei bambini dopo 2 decadi di uso dei vaccini pneumococcici coniugati"
mar 30 gen, 2024

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Yildirim I, Lapidot R, Shaik-Dasthagirisaheb YB, Hinderstein S, Lee H, Klevens M, et al.
La patologia invasiva da streptococcus pneumoniae nei bambini dopo 2 decadi di uso dei vaccini pneumococcici coniugati
Pediatrics. 2024;153:e2023063039.

Più di 30 anni fa’ si è scoperto che la coniugazione con una proteina di trasporto del polisaccaride capsulare di uno qualsiasi degli oltre 90 sierotipi di Streptococcus pneumoniae permetteva di creare un antigene T dipendente che, somministrato in dose adeguate, poteva indurre la formazione anticorpi protettivi nei confronti delle infezioni dovute a quel sierotipo.  Questa conoscenza ha dapprima portato alla formulazione del vaccino pneumococcico coniugato a 7 componenti (sierotipi 14, 6B, 19F, 18C, 23F, 4 e 9V; PCV7) e, dopo qualche anno, alla creazione di vaccini contenenti, oltre a quelli di PCV7, altri sierotipi, quali 3, 6A, e 19A per PCV10 e 1, 3, 5, 6A, 7F e 19A per PCV13. Il cambiamento è stato scientificamente giustificato con il fatto che l’uso di PCV7, per quanto associato ad una estremamente significativa riduzione dei casi di patologia pneumococcica invasiva (IPD) dovuta ai sierotipi inclusi nel vaccino, si era associata ad un significativo aumento dei casi dovuti a sierotipi non presenti in PCV7 con riduzione dell’efficacia di questo. Da qui, la necessità di coprire anche questi sierotipi, aggiungendoli a quelli già contrastati da PCV7. Lo studio di Yildirim e collaboratori analizza l’epidemiologia delle IPD nella popolazione pediatrica del Massachusetts (0-18 anni) dal gennaio 2002 al dicembre 2021 e permette di valutare l’impatto di PCV7 e PCV13 nel tempo. L’analisi è estremamente accurata e, pur confermando in larga parte dati già presenti in letteratura, sia pure su casistiche più limitate e relative a periodi di tempo più brevi, permette alcune considerazioni generali che possono essere di interesse. Innanzitutto, i risultati della ricerca confermano che i vaccini utilizzati negli USA, PCV7 e PCV13, hanno condotto ad una significativa e molto importante riduzione dei casi di IPD nell’arco dei 2 decenni del loro uso. Nel periodo di studio sono stati globalmente diagnosticati 1347 casi di IPD con una incidenza che, dal 2002 al 2021, è passata da 6.7 casi a  1.7 casi per 100 000 bambini (riduzione del 72%; rapporto di incidenza 0.28, 95% CI 0.18–0.45). L’introduzione di PCV13 è sicuramente stata positiva perché il confronto del numero dei casi di IPD diagnosticati tra il tardo periodo di uso di PCV7 (2010) e l’ultimo periodo di uso di PCV13 (2021) dimostra una ulteriore caduta del numero di IPD (rapporto di incidenza 0.25, 95% CI 0.16–0.39), per altro favorita dal fatto che negli ultimi anni di PCV13, quelli corrispondenti alla pandemia di COVID-19 e alle restrizioni alla vita di comunità, i casi di IPD sono stati pochissimi. Un secondo dato di rilievo emerge dall’analisi del ruolo dei vari sierotipi come causa di IPD. I riscontri confermano le ragioni del passaggio da PCV7 a PCV13 perché parte consistente dei casi di IPD diagnosticati nel periodo PCV7 erano dovuti a sierotipi non PCV7, soprattutto 19A e 7F che, insieme, hanno causato il 48,9% dei casi e che sono, quindi, stati giustamente inclusi in PCV13. Ulteriori analisi eseguite relativamente ai casi di IPD diagnosticati nel periodo PCV13 hanno, tuttavia, indicato che questo vaccino, anche se estremamente efficace nel suo complesso e probabilmente, all’epoca, la migliore arma per la prevenzione delle IPD, non poteva essere considerato la soluzione finale al problema prevenzione delle IPD. Il primo elemento negativo emerso nel periodo PCV13 è stata la dimostrazione che la copertura offerta contro il sierotipo 3, pur in qualche modo presente, era inferiore all’ottimale perché nel periodo PCV13 sono stati diagnosticati 31 casi (8,6%) di IPD dovuti a questo sierotipo. Il secondo è  stata l’ulteriore dimostrazione della persistenza del fenomeno del rimpiazzo. Nel caso degli USA, nel periodo PCV13,  sono emerse forme di IPD da sierotipi non PCV13. quali 15B/C (39 casi, 10.8%), 33F (29, 8.0%), 23B (21, 0.8%), e 35B (17, 4.7%) che hanno costituito nell’insieme, una parte non trascurabili di tutti i casi di IPD del periodo. Un terzo “messaggio” dello studio di Yildirim e collaboratori è, invece,  francamente positivo. Si conferma, infatti, che con l’uso dei vaccini scende la percentuale di stipiti di pneumococco penicillino-resistenti. La riduzione dei casi di malattia e, quindi, di trattamento antibiotico, associata alla più bassa circolazione dei ceppi di pneumococco contenuti nei vaccini, finisce per avere riflessi positivi sullo sviluppo e la diffusione di resistenze. Questo vantaggio è confermato dal fatto che, anche nell’ultimo periodo di PCV13, solo i sierotipi non PCV13 presentavano consistenti percentuali di resistenza (14.8% vs 1.4% dei sierotipi PCV13, P < 0.001).
Quali ulteriori considerazioni possono essere fatti su questi dati? La prima è che la vaccinazione pneumococcica rappresenta un vantaggio eccezionale che non dovrebbe essere negato a nessun bambino. I tassi di riduzione delle IPD sono entusiasmanti. Inoltre, la vaccinazione protegge anche da patologie molto comuni che non sono IPD, come l’otite media acuta e la polmonite, ma che hanno un peso enorme sotto il profilo medico, sociale ed economico. Quindi va fatta ad ogni costo, ricordando anche che la vaccinazione comporta un grossissimo vantaggio non solo per il piccolo che la riceve ma anche per chi lo circonda. L’effetto di herd immunity è anch’esso notevolissimo e se ci sono genitori dubbiosi, ricordare che anche il nonno può essere avvantaggiato può risolvere il problema. La seconda è che il vaccino più usato, PCV13, ha, anche se meno di PCV7 e di PCV10, dei limiti. Il fatto che la sua somministrazione protegga ma lasci aperto il fenomeno del rimpiazzo con relativa riduzione dell’efficacia finale è uno di questi perché obbliga a considerare la preparazione di vaccini con un superiore numero di sierotipi, inclusi quelli emergenti. È quello che è già stato fatto con la registrazione dei preparati a 15 e 20 componenti che a breve sostituiranno nell’uso comune PCV13 e PCV10, dove questi sono usati. Che questa sia la soluzione finale è, in realtà, molto improbabile, perché il rimpiazzo ci sarà comunque. Non dimentichiamo che i sierotipi sono più di 90 e che anche avere un preparato con 24 sierotipi come quello in sviluppo, anche se non ancora autorizzato, non risolverà il problema. Molti motivi, non ultimi quelli immunitari e di complessità produttiva impediscono di pensare di continuare ad aggiungere sierotipi e far un megavaccino. Ad un certo punto ci dovrà fermare ed accettare che qualche caso di IPD ci possa essere. Per chiudere in modo pressochè definitivo il problema della prevenzione vaccinale della patologia pneumococcica, bisognerebbe seguire un’altra via di preparazione dei vaccini. Si dovrebbe, come da tempo si cerca di fare senza troppo successo, individuare una o più proteine del batterio, comuni a tutti i sierotipi, di struttura stabile e fortemente immunogena con produzione di anticorpi protettivi, da utilizzare per la preparazione di un vaccino. Tutti i sierotipi sarebbero in un colpo solo coperti. Siamo, tuttavia, molto lontani, da questa prospettiva. Per il momento accontentiamoci di quello che abbiamo, usando il prodotto più aggiornato dimostrato sicuro e ben tollerato. Seguendo i dati epidemiologici potremo, come fatto con PCV 20, adeguare almeno temporalmente, le caratteristiche del vaccino alle necessità di protezione.

Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS