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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Esito dell'infezione pediatrica da SARS-CoV2 variante Omicron in confronto a quella da virus influenzale e da virus respiratorio sinciziale"
mar 20 feb, 2024

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Hedberg P, Abdel-Halim L, Valik JK, Alfvén T, Nauclér P.
Esito dell’infezione pediatrica da SARS-CoV2 variante Omicron in confronto a quella da virus influenzale e da virus respiratorio sinciziale.
JAMA Pediatr. 2024;178:197-199.

Che i virus influenzali (IV) e il virus respiratorio sinciziale (RSV) siano tra le cause più frequenti e clinicamente importanti di patologia respiratoria del bambino nei mesi freddi è noto da tempo. Il ruolo di SARS-CoV-2 nelle diverse varianti più recenti è meno noto, anche se, per quanto riguarda alcune di queste, la lunga durata della loro circolazione ha permesso di raccogliere qualche dato in proposito. È questo il caso della variante Omicron per la quale i dati disponibili sembrano indicare una minore aggressività rispetto a quella mostrata dal virus originario e dalle prime varianti.
Lo studio di Hedberg e collaboratori ha confrontato il peso clinico dei 3 virus in Svezia, esaminando gli accessi al Pronto Soccorso di 3 strutture pediatriche alle quali potevano globalmente richiedere assistenza circa 500.000 individui di età < 18 anni. Lo studio è stato retrospettivo e ha riguardato il periodo compreso tra Agosto 1, 2021 e Settembre 15, 2022 nel quale più del 99% dei soggetti richiedenti assistenza è stato sottoposto alla ricerca mediante PCR sui secreti respiratori di tutti e 3 i virus soggetti ad indagine. Per i positivi ad uno di questi (i casi con positività multiple sono stati esclusi), tutta la storia clinica è stata analizzata e sono stati separati i casi che sono stati ospedalizzati, che sono stati ricoverati in terapia intensiva (ICU) o che sono morti entro 30 giorni dalla diagnosi di infezione.

L’arruolamento ha riguardato un totale di 2596 pazienti pediatrici dei quali 896 (34,5%) avevano una infezione da Omicron, 426 (16,4%) una da influenza A/B e 1274 (48,0%) una da RSV. La gran parte dei pazienti con Omicron e RSV avevano meno di 2 anni (72,3% a 77,7%, rispettivamente), mentre la maggioranza di quelli con influenza era più grande (solo il 19,0% era < 2 anni). Il tasso di ospedalizzazione globale è stato del 31,5% per Omicron, del 27,7% per influenza e dell’81,7% per RSV. Il rischio di ospedalizzazione è stato tanto maggiore quanto più giovane il soggetto infetto, con valori che, indipendentemente dall’età, sono stati sempre nettamente più alti nei bambini con RSV.

Nei soggetti di età compresa tra 0 e 1 anno l’infezione da RSV ha comportato un rischio di ospedalizzazione di  oltre 10 volte maggiore di quello dovuto a Omicron (OR 11.29; 95% CI, 8.91-14.38). Tale dato si è ridotto nei soggetti di 2-4 anni nei quali il rischio da RSV si è ridotto rispetto a Omicron, pur rimanendo significativamente più alto (OR 3.96; 95% CI 2.25-7.01). Assai poco diversi sono stati, invece, in tutte le età testate le differenze tra i valori relativi al rischio di ospedalizzazione per influenza e Omicron. Nei soggetti di 0-1 anno l’OR è stata di 1.67 (95% CI, 1.03-2.68). In quei di 2-4 anni di 0.31 (95%CI,0.15-0.65). I ricoveri in ICU sono stati lo O.6% per Omicron, lo 0.9% per influenza e il 2.9% per RSV. I decessi lo 0.2% per Omicron e lo =,1% per RSV. Nessun decesso per influenza.

I dati di questo studio aggiungono veramente poco a quanto noto ma possono essere utili a qualche riflessione sull’uso degli anticorpi monoclonali e dei vaccini e sull’importanza che questi possono avere nella prevenzione e nella semplificazione del quadro clinico delle più importanti infezioni virali dell’età pediatrica. Non meraviglia certo che i risultati dello studio sottolineino in modo molto preciso l’importanza di RSV nel condizionare forme gravi soprattutto nel bambino piccolo. Caratteristico dei primi mesi di vita è il fatto che l’infezione da RSV comporta il possibile sviluppo di bronchiolite, una forma che spesso causa problemi tanto gravi da richiedere necessità di ricovero e di trattamento in ICU. Tutto noto da tempo ma quello che, forse, è meno noto è il fatto che a breve l’infezione da RSV potrà essere prevenuta in modo molti più consistente di quanto non avvenga oggi. Già registrato, anche se fermo per pastoie burocratiche, è, infatti, un nuovo anticorpo monoclonale, il Nirvesimab, che studi clinici ben condotti hanno dimostrato essere in grado di superare alcune delle limitazioni presenti nel vecchio Palivizumab. Rispetto a questo sembra più efficace e, soprattutto, molto più facile da somministrare perché, essendo dotato di una semivita di eliminazione nettamente più lunga, può coprire con una unica somministrazione l’intero periodo di circolazione dell’RSV.

Un vantaggio enorme visto che Palivizumab richiede almeno 5 dosi a distanza di un mese l’una dall’altra, una cosa che, di per sé, ostacola la compliance oltre che aggravare i costi.  Oltre a questo, registrato è anche un vaccino anti RSV che, somministrato alla madre, si è dimostrato capace di proteggere nei primi mesi il piccolo lattante con la quota di anticorpi che la donna può passargli durante gli ultimi mesi di gravidanza attraverso il filtro placentare. E non dimentichiamo che tra non molto tempo sarà probabilmente disponibile un vaccino specifico per il lattante. È, cioè, possibile che lo spettro horror di RSV possa essere finalmente fortemente ridimensionato. Spetta al pediatra  e ai colleghi coinvolti nella gestione della gravida  utilizzare appena possibile queste possibilità e mettere fine a uno spauracchio ancora pesante. Per quanto riguarda Omicron si conferma la relativa scarsa importanza di questo virus rispetto a RSV anche se poi non mancano i casi che finiscono in ICU e qualche decesso.

Come largamente discusso in ogni sede, il problema della importanza della vaccinazione anti COVID-19 in pediatria resta largamente dibattuto. Visti anche questi dati, sembrerebbe poter approvare l’impiego del vaccino, soprattutto nei soggetti di ogni età che presentano qualche patologia cronica grave di per sé sufficiente a rendere potenzialmente grave ogni infezione da SARS-CoV-2.  Infine, l’influenza. Viene spontaneo osservare che questi dati non danno una esatta valutazione della reale importanza dell’influenza né della prevenzione vaccinale perché sembra assai probabile che nel periodo nel quale è stato fatto lo studio, o almeno parte di esso, la circolazione dei virus influenzali fosse ancora condizionata dalle misure messe in atto per ridurre la circolazione di SARS-CoV-2. Potrebbe essere che i pochi casi registrati nei bambini piccoli siano figli di una situazione particolare e minori di quelli consueti al di fuori di misure protettive.

La vaccinazione resta, in ogni caso, un presidio preventivo di grandissimo valore anche perché sembra dimostrato che il vaccino possa aggiungere alla prevenzione dei casi di influenza anche il vantaggio di una consistente riduzione del rischio di emergenza di batteri resistenti agli antibiotici di più largo uso. È queto un problema drammatico che deve essere contrastato con tutti i mezzi possibili e l’uso del vaccino influenzale è uno di questi. Se si riduce il numero di casi di influenza, si riducono i casi che, come avviene spesso per tutte le forme respiratorie di origine virale, ricevono un trattamento antibiotico non necessario e quelli nei quali c’è una sovrainfezione batterica questa volta meritevole di trattamento antibiotico. Meno prescrizioni di antibiotici, minore rischio di emergenza di resistenze batteriche.
A conclusione di queste righe non si può non fare notare che studi come questi sono essenziali per avere idee precise sul rischio di forme gravi da virus respiratori nel bambino. Non danno, però, una idea precisa dell’impatto totale di questi virus in pediatria. La stragrande maggioranza delle infezioni virali respiratorie non viene ospedalizzata perchè non sufficientemente grave. Se non gravano sull’ospedale, gravano, tuttavia, in modo estremamente rilevante sul sistema sanitario, sulle famiglie e sui bambini. La considerazione di questa parte dei problemi dovuti ai virus respiratori non può che spingere in modo deciso verso l’uso delle misure di profilassi esistenti e di quelle nuove appena disponibili.    

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Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS