La medicina del territorio

Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Brescia

FORUM - martedì 13 ottobre 2020

Hanno partecipato:
Gianpaolo Balestrieri: Direttore responsabile di Brescia Medica
Ottavio Di Stefano: Presidente Ordine dei Medici di Brescia
Fulvio Lonati: Presidente Associazione APRIRE - Assistenza PRimaria In REte - Salute a Km 0
Ovidio Brignoli, Giovanni Gozio, Franchino Martire, Angelo Rossi: Medici di Medicina Generale
Guido Vertua: Pediatra di Famiglia


La pandemia da Covid-19 ha stravolto molte certezze in medicina, e ha contribuito a mettere in discussione sul territorio diverse modalità organizzative che sembravano consolidate. Molte le difficoltà incontrate dai medici nei mesi più critici dell’emergenza, altrettanti gli interrogativi che si profilano davanti al rischio di una seconda ondata di contagi. Abbiamo chiesto a medici e pediatri in prima linea sul territorio di condividere criticità e prospettive.

Balestrieri: «Siamo di fronte a una nuova fase, incalzata da problemi - come la ripresa dei contagi, le diagnosi e i tracciamenti, la gestione di positivi e contatti, le scuole, la vaccinazione antinfluenzale - in cui la medicina del territorio è chiamata a risposte urgenti. Quali le esigenze più avvertite, le difficoltà e le proposte?».

Lonati: «E’ stato molto faticoso portare avanti le cose negli ultimi mesi, e l’elemento più preoccupante è stata l’assenza di una capacità di coordinamento adeguata. Questa epidemia continua ad evolvere ed è necessario individuare le risposte, affinchè nessuno le debba trovare da solo. Finora la sensazione è che fra le tante comunicazioni, formalmente ineccepibili, la responsabilità sia stata scaricata sul singolo medico.
I riferimenti precisi arrivano a fatica e la separazione tra Ats ed erogatori fa sì che si generino tanti conflitti, con le Asst che vanno in ordine sparso. Anche l’iniziale sistema di prenotazione dei tamponi, con innumerevoli passaggi tra medico e operatori Ats, è un segno che la drammatica situazione vissuta nell’emergenza non ha insegnato nulla».

Brignoli: «In realtà un’evoluzione delle cose c’è, anche se non così veloce. Il Siss ad esempio si è allineato mettendo le agende a disposizione dei medici.
Rilevante è il forte disagio nella catena di comando/controllo. Se dobbiamo fare una riflessione onesta, questo vale anche per la catena degli esecutori: molta parte della professione medica delega, non è presente. Ci si può chiedere perché io ho prescritto solo 3 tamponi e qualcuno 300».

Vertua: «Come pediatri abbiamo avuto molti più problemi rispetto ai MMG nella diagnosi Covid, perché il bambino spesso non ha sintomi o è paucisintomatico. Le linee guida dell’ISS in questo senso sono demenziali, perché valorizzano la febbre, che è fondamentale nell’adulto, mentre nel bambino sotto i 6 anni non è un sintomo importante, e i piccoli presentano anche 6 o 7 raffreddori/tossi in un inverno.
Nelle scuole ci sono insegnanti che al primo colpo di tosse di un alunno chiamano il genitore. E molti colleghi sono spaventati dal punto di vista medico legale, perché pensano «se non lo “tampono” rischio di diffondere l’epidemia a tutta la scuola». Ma i bambini si ammalano molto poco di Covid e non infettano gli altri. Per ovviare, come tavolo regionale sul Covid di cui sono componente abbiamo stilato un atto di indirizzo con una serie di paletti volti a ridurre il numero di tamponi: in questi giorni nell’area drive through del luna park in via Morelli ci sono 2 ore di coda, spia di qualche criticità, anche se a Brescia come tempistiche siamo ancora fortunati».

Gozio: «La medicina generale è stata colta di sorpresa all’inizio della pandemia, sarebbe deleterio esserlo anche in questa fase. Non è tanto la paura di non avere Dpi o linee guida, ma la confusione, e il fatto che non ci sia stato coordinamento nell’emergenza.
Forse c’è delega di responsabilità, di certo si sente la mancanza di una Asl, e questa pandemia ha fatto emergere le debolezze della legge 23. La paura della medicina generale è che le cose vengano affrontate senza una visione d’insieme, che è mancata nel periodo di massima emergenza».

Martire: «Il MMG è in prima linea, e si trova ad affrontare i problemi più diversi: si pensi solo agli adempimenti burocratici per i lavoratori, con l’Inps che dopo 8 mesi ha chiarito cosa considera per “isolamento”. Per non parlare del tema odierno delle vaccinazioni antinfluenzali: ancora non si sa quando arriveranno, si dice che la disponibilità sarà di 20-25 dosi per medico, dovremo sorteggiare i malati che ne hanno diritto?
Il problema di fondo è la mancanza di comunicazione, Ats si rimpalla con le Asst, ma noi abbiamo bisogno di informazioni concrete, servono input veloci».

Rossi: «Il territorio è stato lasciato a sé stesso. I distretti avevano un senso, e quando è servito non c’erano. Sono mancati igienisti e servizi di sanità pubblica. Il nostro ruolo va rivisto alla veloce, e l’intero sistema – insieme alla legge 23 - va rivisitato, ad esempio trovando un ruolo per il CRT-Coordinamento per la rete territoriale, individuando un contenitore che assicuri uniformità. A volte l’eccessiva capillarità sul territorio va a scapito del bene, le aggregazioni di medici possono invece assicurare uniformità e servizi: in questo senso bisogna ragionare sulle AFT-Aggregazioni funzionali territoriali, rivedere le cooperative per la gestione del cronico, predisporre infrastrutture per i MMG.
Mi sembra che il sistema si stia muovendo, anche perché la crisi ha messo in evidenza i nodi che ora si cerca di risolvere, a partire dal miglioramento del sistema informatico e della Siss, che presenta ancora molte lacune».

Balestrieri: «Il territorio è stato giudicato l’anello debole nella risposta lombarda alla pandemia. Ma proprio durante questa fase si sono attivate modalità di lavoro (come la telemedicina, la semplificazione burocratica) da tempo attese. Al contempo si discute sul ruolo dei distretti e sull’evoluzione che potrà avere la legge 23 di Regione Lombardia, in corso di revisione. Qual è la vostra opinione?».

Brignoli: «In Regione non c’è nessuna intenzione di modificare l’assetto della medicina generale: sulla presa in carico del cronico non ci sono novità e la funzione degli infermieri di famiglia non è ben chiarita. E nei bilanci regionali non c’è una lira in più per i MMG, non si ha un’idea di come investire sul territorio.
La medicina generale offre cure personalizzate e continue nel tempo, possibilmente condivise tra operatori sanitari e facilmente accessibili dal cittadino. E’ una medicina che deve conoscere i bisogni di popolazione, avere una visione strategica, disporre di strumenti di stratificazione della popolazione. Il MMG da solo non può assolvere tutti questi compiti, per questo è necessario riformare profondamente il sistema, assicurando personale amministrativo e sanitario, la creazione di reti e la condivisione con gli specialisti di progetti di cura e obiettivi. Questa è l’idea di medicina generale che vorrei, ma che non vedo».

Vertua: «Questa pandemia ha profondamente modificato il mio modo di essere pediatra. In più di 30 anni di convenzione ho cercato di fare imparare ai genitori come gestire l’”acuto banale”, ovvero il bambino con raffreddore, tosse o febbre. Con le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità tutto questo è stato stravolto, e ora ci ritroviamo a rispondere a centinaia di telefonate di genitori allarmati ai primi sintomi di raffreddamento.
E’ mutato anche l’approccio con i pazienti: soprattutto con i bambini piccoli ho sempre cercato di distrarli e tranquillizzarli con sorrisi e boccacce che rendono la visita meno traumatizzante. Con la mascherina non è più possibile. E ci vorrà molto tempo perché le cose tornino come prima».

Lonati: «Covid ha innescato diversi cambiamenti, per esempio abbiamo sviluppato esperienze di telemedicina e imparato a sperimentare la presa in carico avvalendoci del contatto telefonico: anche questo è un momento di cura, e si coniuga con l’idea che la partecipazione attiva dell’assistito non è qualcosa di peregrino. Il rapporto telefonico associato alla responsabilizzazione dell’assistito va ora strutturato in modo più robusto.
In futuro vedrei lo sviluppo reale delle AFT, che possono offrire una visione d’insieme, con medici dello stesso territorio supportati da servizi (infermiere di famiglia, psicologo, assistente sociale) per persone con più compromissioni dell’autonomia personale. Le cooperative dovrebbero essere “incernierate” sulle AFT, superando frammentazione e dispersione, e andrebbe valorizzato il rapporto con i Comuni, in una logica distrettuale.
Dal canto suo Ats dovrebbe cessare di operare come agenzia che firma i contratti (cosa che può fare la Regione), ma avere in mano anche strumenti per agire. Mentre le Asst dovrebbero assumere l’effettivo coordinamento di ciò che avviene sul loro territorio».

Rossi: «In una Regione ospedalocentrica da sempre, dove il 50% dell’erogato è in mano al privato, la necessità più avvertita è quella di personale e di integrazione sul territorio, ma non credo che l’infermiere di famiglia cambierà le cose, perché si tratta di un dipendente dell’Asst, non di una figura dedicata, e sul territorio si rischia di impoverire l’ADI, i cui erogatori paventano l’assenza di infermieri.
C’è bisogno di più aggregazioni – il primo passo potrebbero essere i CRT, come raccordo tra le esigenze del sistema e del territorio – e ci mancano piattaforme integrate, perché attualmente disponiamo di 4 o 5 piattaforme che non si parlano tra loro. Noi medici di famiglia siamo il “terminale” delle vicende sanitarie degli assistiti, potremmo dare tante informazioni al sistema se ce lo chiedessero, per rendere disponibili valutazioni di popolazione».

Gozio: «”Il re è nudo”: Quanto tiene la Regione al territorio? La pandemia ha evidenziato la necessità di aggregazioni, ma le AFT rincorrono qualcosa che non è stato pensato in Regione, dove non c’è una visione prospettica per arricchire il territorio. Piuttosto, stiamo inseguendo gli eventi, cosa che, se giustificata nel primo periodo pandemico, ora non lo è più.
Sono maturati aspetti positivi, come la dematerializzazione delle ricette e della modulistica, l’auspicio è che non sia un fuoco di paglia ma come categoria si riesca a mantenere il punto su queste acquisizioni. Al contempo non vedo male le cooperative se offrono servizi per le AFT e strumentazioni di telemedicina. Sullo sfondo, tuttavia, non mi sembra che Regione sia intenzionata a realizzare un sistema pubblico in cui il MMG sia un elemento fondamentale e integrato».

Martire: «Esprimerò una posizione fuori dal coro: credo che la presa in carico ci stia, ma in tutt’altro modo. Siamo ancora dei liberi professionisti, c’è un Accordo collettivo nazionale, è con gli accordi che si può fare quello che si vuole. E le AFT, mai considerate in precedenza dalla Lombardia, sembrano più che altro funzionali a un ripescaggio della legge 23.
Noi MMG rischiamo di essere troppo aggregati, quando la realtà dice il contrario: gli studi che si configurano come piccoli satelliti sul territorio hanno una loro funzione, pensiamo ai medici dei piccoli paesi che sono la prima linea per i piccoli e grandi bisogni di salute della popolazione. Certo bisogna tornare a fare la clinica, imboccare solo la strada informatica è pericoloso».

Balestrieri: «Le debolezze evidenziate dalla pandemia richiamano con forza il tema della formazione del MMG: secondo alcune voci va considerata l'opportunità di istituire una vera e propria Scuola di Specializzazione in Medicina delle cure primarie con un percorso accademico ed un "core curriculum" definiti».

Brignoli: «Da coordinatore regionale del Corso di formazione specifica in Medicina generale tengo a ricordare che sono tre le linee strategiche della Scuola di formazione. In primis il tirocinio professionalizzante, secondo il principio del “learning by doing”, come avviene per gli specialisti, con la possibilità di lavorare “dentro” la medicina generale. Fra esercitazioni e pratica, una parte di questa attività diventa il fare il medico, seguiti da un tutor. E questo rappresenta un cambiamento epocale: non c’è tanto bisogno di accademia o specialità nella medicina generale, che è una disciplina con prerogative proprie, orientata a curare l’illness, non il disease.
La seconda linea strategica consiste nel rinnovare il parco dei formatori, per futuri medici capaci di sintonizzarsi sui bisogni attraverso nuove skill, come la possibilità di fare ecografie, la cura degli aspetti relazionali, l’attenzione al tema del dolore e delle cure palliative. Terza linea strategica sono i lavori di team per mettere a fuoco, attraverso dossier e approfondimenti, gli aspetti da migliorare della medicina generale. In questa prospettiva la scuola sarà un elemento di spinta nei confronti della politica. Tenuto conto che in Regione manca ancora l’idea di cosa sia la medicina generale».

Vertua: «Quando sono uscito dall’Università conoscevo molte cose specialistiche ma non sapevo come dare lo sciroppo, o come creare un rapporto empatico con le mamme, per cui il pediatra è una specie di confessore. In questo senso la formazione specialistica non è adeguata, perché chi esce dall’Università ha una preparazione teorica notevole, ma incontra difficoltà a gestire cose banali. Anche perché è difficile insegnare a interfacciarsi col genitore, che ha bisogno di sicurezze: è una cosa che nasce dall’esperienza o dall’osservazione dei maestri.
Anche per questo il lavoro del pediatra mal si concilia con la medicina di gruppo: le mamme vogliono che il loro bambino sia visitato da me, è una delle cose più importanti nella pediatria di base».

Rossi: «Il MMG ragiona non per patologie ma per percorsi, è per questo che in studio siamo chiamati ad offrire ai colleghi ciò che l’Università non ha dato. Il percorso accademico ti insegna a lavorare come singolo, in medicina generale bisogna riuscire a lavorare in gruppo e per progetti, da qui l’importanza dei project work e dei dossier in cui si cimentano i colleghi in formazione.
Nel periodo a venire si profila un importante ricambio generazionale, nell’arco di 6-9 anni dovremo rifondare il modo di fare il medico, e la programmazione sarà strategica per formare i professionisti del futuro».

Lonati: «La formazione sulle cure primarie è qualcosa che non appartiene al percorso del futuro medico, mentre dovrebbe essere presente in tutte le specializzazioni, oltre che nella medicina generale».

Di Stefano: «E’ stato annunciato l’arrivo di 5 milioni di test rapidi antigenici, da effettuare negli studi dei medici di famiglia. Cosa ne pensate?».

Brignoli: «E’ un insulto all’epidemiologia. Queste tipologie di test servono in popolazioni molto ampie da “tamponare” subito. Non è il bisogno di questo momento. E’ necessario, piuttosto, un percorso definito per le persone sintomatiche».

Rossi: «A febbraio-marzo avrebbe avuto un senso, se tornassimo a quei numeri servirebbe, ma l’esecuzione dei test rapidi andrebbe accompagnata da una riorganizzazione del territorio: se manca quella, questo strumento diventa fine a sé stesso».

Gozio: «I nostri ambulatori non sono attrezzati. E se la risposta al tampone tradizionale arriva in 36 ore al massimo, il test rapido risulta pleonastico».

Di Stefano: «Mi sembra che siano tre i punti qualificanti emersi in questo confronto: tutti hanno avvertito una carenza di coordinamento a livello delle istituzioni e una difficoltà nel fare sintesi e prendere decisioni rapide seguendo l’evoluzione della pandemia. L’aspetto positivo è che il Covid ha costretto a ridurre la burocrazia, e l’auspicio è che questa lezione si mantenga nel tempo.
Sulla legge 23 e la sua possibile revisione, si ragiona sulle aggregazioni e il lavoro di gruppo. Ci sono visioni diverse, ma c’è condivisione sul fatto che la relazione medico-paziente non è incompatibile col lavoro di gruppo, e che il Covid ci ha insegnato l’importanza di comunicare fra operatori sanitari.
Sulla medicina del territorio, tuttavia, non c’è stato un investimento che ci aspettavamo, siamo tornati ai tempi delle “isorisorse”.
In conclusione, emerge il bisogno di maggiore integrazione a livello istituzionale e di decisioni rapide, insieme alla necessità di passare dal lavoro singolo al lavoro di gruppo con altre professioni e discipline».