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Fatti e narrazioni sul Covid: è possibile una resilienza collettiva?

Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Brescia

di Francesco Longo, CERGAS/SDA Bocconi

Esiste davvero un trade off tra salute ed economia, ovvero se si rafforzano le misure di distanziamento sociale l’economia andrà per forza peggio?
Ascoltando delle decisioni di policy che non si condividono è importante rendere pubblico il proprio dissenso oppure, in questo momento è più importante partecipare al senso di una sfida collettiva e sostenere le ragioni dell’unità, della solidarietà reciproca nella comunità, del disagio da sostenere condividendolo?
Esistono gli eroi del COVID e chi sono? La narrazione eroica aiuta la costruzione di una resilienza comune o aumenta le distanze tra i segmenti sociali e rende più difficile la condivisione dell’onere della sfida?

Per rispondere a queste difficili domande proviamo a mappare il percorso del COVID 19 da quando è iniziato in Italia (febbraio 2020) fino al momento del suo presumibile controllo (estate/autunno 2021), attraverso 5 considerazioni fattuali.

a.    Il tasso di contagio dipende da politiche che esulano da quelle sanitarie, mentre gli esiti della malattia e il numero dei morti dipende in parte significativa dalla robustezza e dall’efficacia clinica dei diversi sistemi sanitari. In altri termini, la diffusione dell’epidemia dipende dalle misure di distanziamento sociale e protezione individuale adottate, senza grande influenza possibile da parte del SSN, che interviene prevalentemente in un momento successivo. A questo proposito è emerso, nei confronti internazionali, che paesi con sistemi sanitari più robusti (più spesa pubblica per la sanità, più posti letto ospedalieri, più terapie intensive per abitante) hanno scelto misure di distanziamento sociale più blande e tardive e viceversa.  L’Italia, essendo uno dei paesi in Eu che spende meno per la sanità pubblica, con pochi posti letto, ha scelto, soprattutto nella primavera 2020 lock down immediati e lunghi, non potendosi permettere di curare troppi malati. Da questo punto di vista, paradossalmente, la debolezza dei sistemi sanitari, ha stimolato politiche più attente alla salute pubblica, alla prevenzione e al contenimento del virus.

b.    La diffusione del Covid 19 è iniziata in Italia a fine febbraio 2020 e potrebbe finire 3-6 mesi dopo la reale disponibilità di uno o più  vaccini. La disponibilità di vaccini efficaci e ufficialmente approvati dovrebbe avvenire tra gennaio e marzo 2021. La produzione mondiale sarà insufficiente rispetto alla domanda e quindi i paesi più ricchi saranno avvantaggiati nell’approvvigionamento, perché hanno filiere produttivi dedicate, prezzi più alti e una consolidata relazione con i produttori. In ogni caso, non ci sarà l’immediata disponibilità di vaccini per 30-40 milioni di italiani, ma questi verranno resi disponibili nell’arco di mesi, in coincidenza con la capacità di somministrarli. Infatti per vaccinare così tante persone non disponiamo di una istantanea capacità produttiva, ma dovremo procedere per coorti prioritarie (dipendenti SSN, anziani, cronici, ecc.), impiegandoci tra i 3 e 6 mesi di lavoro, in base alla nostra efficacia organizzativa e da quanto tempo prima inizieremo a preparare questo complesso processo erogativo. La domanda cruciale è quante ondate e picchi di diffusione del contagio ci saranno fino alla fine del COVID. Ne abbiamo già conosciute due, ma fino a giugno-settembre 2021 potremmo assisterne ad altre o al perdurare di una costante incidenza diffusa e significativa. I picchi e il loro contenimento dipenderanno prevalentemente dalla immediatezza, profondità e lunghezza delle misure di distanziamento sociale che il policymaker adotterà. Ogni volta che si aumentano le misure di distanziamento all’immediata crescita della curva, per un periodo di tempo congruo e con una severità adeguata, la diffusione rallenta immediatamente, soprattutto se è allo stadio iniziale. Ogni qualvolta si affronta la curva del contagio ad uno stadio più avanzato, più lunga è la discesa da scalare e quindi si richiede maggiore lunghezza, profondità e severità delle misure di distanziamento sociale. Prima si interviene, meno duramente bisogna regolare e restringere, più tardi si interviene più è lungo e duro il lock down. Quante volte faremo salire e scendere la curva fino a quando saremo vaccinati dipenderà dal nostro dibattito e dalle nostre scelte collettive. E’ prevedibile, che all’avvicinarsi del processo di vaccinazione collettiva, vi sarà un generale clima di rilassamento, sia nei comportamenti collettivi, sia da parte del policymaker nazionale e regionale, potendo registrare, paradossalmente sul finale, nuovi picchi.

c.    I medici, gli operatori della sanità, il SSN avranno vissuto alla fine della stagione del COVID due o più ondate, in cui ogni volta si ripete lo stesso ciclo. Un momento di routine in cui prevalgono le patologie usuali: i consumi attuali in Lombardia riguardano il 70% pazienti cronici e il resto pazienti acuti. Alla routine segue una fase di rapida fase di crescita della curva del contagio COVID e in cui progressivamente si sposta buona parte della capacità produttiva del SSN sulla pandemia, inevitabilmente, trascurando progressivamente i pazienti non COVID, soprattutto se non urgenti. Siamo arrivati a dedicare anche l’80% della capacità produttiva del SSN di intere provincie a soli pazienti COVID. In questa fase di picco succedono tre cambiamenti davvero significativi. Molti professionisti rinunciano alle proprie vocazioni specialistiche elettive e si dedicano a tempo pieno a pazienti COVID, a prescindere da simbolici professionali o ruoli organizzativi. Le organizzazioni pubbliche iniziano a diventare “mission driven” e flessibili, orientate al risultato finale e sempre meno attente alle procedure burocratiche, ma concentrate sugli outcome di salute. Nelle fasi più acute del picco, dolorosamente riscopriamo trade off tragici  rispetto alle scelte di priorità dei pazienti da trattare, reinterrogandoci sul senso ultimo della vocazione del SSN. Durante le fasi di picco si confondono momenti di grande stanchezza con momenti di grande adrenalina, in cui si riscopre la propria “public service motivation” ovvero le ragioni per cui si ha deciso tanti anni fa di dedicarsi alla sanità e al benessere della comunità. Ovviamente le persone non sono tutte uguali, neanche tra i professionisti del SSN e il livello differenziale di “public service motivation” emerge con nitidezza nella sua distribuzione eterogenea, tra diverse figure professionali, tra diversi setting assistenziali e diverse specialità. Ognuno può trovare e rivendicare ottimi motivi per fare di più del suo dovere professionale, contribuendo in modo rilevante alla missione del SSN o, all’opposto, spiegare le cause del mal-funzionamento del sistema, che giustifica l’arretramento dall’impegno personale. Dopo le fasi di picco e di dedizione al COVID, inizia una stagione di progressiva decrescita della curva e progressivo smantellamento della capacità produttiva dedicata al COVID e il suo ri-orientamento all’attività classica. A quel punto emergono le liste di attesa dei pazienti differiti, che rappresentano un ulteriore stress professionale. Quindi nel momento apparente di pace, di ritorno alla “normalità”, in realtà viene richiesto un nuovo sforzo straordinario per recuperare tutti i pazienti non COVID precedentemente differiti. Quanti cicli di questo tipo possono supportare i professionisti di un SSN senza finire in burn out psichico, fisico o motivazionale?

d.    Il COVID rappresenta per le attuali generazioni occidentali la prima volta in cui la “Storia” è entrata nelle nostre vite e ne ha influenzato in modo significativo la dinamica. Fino a prima del COVID, la sensazione cognitiva diffusa era che la “Storia” e la “Politica” fossero delle dimensioni esogene alle nostre vite, che si potevano studiare e osservare anche in modo appassionato, ma che non avrebbero influenzato il percorso dei nostri giorni. Con il COVID le persone si sono sentite per la prima volta non più in controllo della propria vita, ma eterodiretti da fattori esogeni, fin nelle dimensioni più intime, come il diritto alla libera circolazione. Abbiamo scoperto l’incertezza e in molto abbiamo difficoltà a reggerla, essendo per i più una dimensione sconosciuta. Davanti alla disabitudine a reggere l’”incertezza” molti si sono rifugiati in due atteggiamenti tra di loro polarizzati: negare il pericolo o invocare misure o comportamenti che azzerassero in modo assoluto ogni rischio possibile. Queste due posture, apparentemente contrapposte (negazionismo e sicurismo), hanno in comune l’incapacità a reggere un periodo di incertezza. Eppure, a ben guardare, stiamo vivendo un periodo “terribile” e incerto, ma che ha dei confini temporali prevedibili con buona approssimazione (chiusura entro la fine del 2021) e in cui sappiamo già chi sarà il vincitore (il vaccino). Se ci paragoniamo con altre generazioni, molto più infelici della nostra, esse erano in mezzo a scenari in cui era incerta la durata (quanti anni sarebbe durato il fascismo o la II guerra mondiale quando uno si trovava in mezzo?) e non si sapeva chi avrebbe vinto. Siamo in mezzo a un periodo di 16-20 mesi di incertezza, per la maggior parte di noi a frigorifero pieno e TV e PC acceso (senza negare alcuni drammi economici in corso).

e.    Il COVID è una pandemia che per la sua natura può essere contenuta e sconfitta solo con azioni collettive, sia in fase di prevenzione del contagio, sia durante le cure, con il dispiegare di ingenti mezzi di un intero servizio sanitario, sia nella ricerca di un vaccino e la sua futura distribuzione universale. Molti esperti hanno usato questa finestra per proporre o imporre un proprio punto di vista nel dibattito, talvolta con una forza divisiva, altre con il  desiderio di contribuire ad una crescita collettiva delle consapevolezze e delle scelte condivise. Allo stesso modo la nostra struttura di governance politica è sollecitata oltre misura. La prima ondata del COVID è stata regionale e ha ottenuto risposte centrali e omogenee nel paese. La nostra incerta e fluida governance nel rapporto tra Stato e regioni, in più con colori politici prevalenti diversi nei due livelli, ha determinato, all’opposto, che la seconda ondata, epidemiologicamente di natura nazionale, abbia ottenuto risposte regionalmente differenziate. Anche in questa dialettica, tra centro e periferia, qualcuno ha giocato per esaltare la sua voice individuale e altri per ricomporre un tessuto istituzionale unitario, che può essere anche frutto di una concertazione tra regioni e Stato centrale.


Alla luce di queste evidenze nella storia del COVID, cerchiamo di rispondere alle tre domande iniziali.
Esiste davvero un trade off tra salute ed economia? Bismark inventò alla fine dell’800 il primo sistema di assicurazioni sociali obbligatorie per la salute, convinto  che, solo se i lavoratori fossero stati sani, sarebbero stati produttivi. La nascita dei sistemi di welfare occidentali poggia sull’intuizione che la protezione dell’individuo e della comunità, oltre a essere un fine in sé, è anche propedeutica per lo sviluppo economico e socioeconomico. Anche nel COVID, se si interviene per tempo con misure di distanziamento robuste, contenendo il contagio sin nei suoi stadi iniziali della curva di diffusione, si riduce il tempo necessario di frenata dell’economia e i costi indotti di recovery, ingenti e necessari se invece sfugge di mano la situazione che poi impone, nei fatti, chiusure ancora più lunghe e radicali.

E’ necessario dissentire pubblicamente se si è uno stakeholder competente e rilevante dalle scelte di policy?
E’ sempre importante contribuire al dibattito collettivo e le diversità di opinioni sono “un dono di Dio”, secondo molte religioni. Ci si può accostare con due posture relazionali alternative al dibattito comune: alla ricerca delle propria visibilità, specificità e genialità, oppure con l’intento di aggiungere un mattone alla casa comune, riconoscendo i meriti del sistema, le difficoltà dell’agire in emergenza e sotto stress e le migliorie, che in questo clima, possono essere aggiunte, magari segnalando che sono apprese e sperimentate da altri.

Chi sono gli eroi del COVID? La narrazione che facciamo e faremo del COVID sarà un pezzo fondamentale dell’identità collettiva che stiamo costruendo per oggi e per il futuro. Triste è un popolo che ha bisogno di eroi per funzionare e che non può godere del benessere diffuso garantito dalle istituzioni e dalle regole comuni, raggiunto con il contributo di tutti. Il vero eroe è la comunità che si sa organizzare, che sa gestire l’analisi e il dibattito collettivo, che sa decidere nell’interesse comune, che riesce a soppesare costi e benefici delle scelte, che permette a tutti di dare il proprio contributo, sentendosi parte di una interessante e nutriente storia più ampia. Italia Repubblica fondata sul lavoro e non su eroi, recita la nostra Costituzione. Se ci pensiamo bene, in lunghi tratti del percorso COVID, la maggior parte degli italiani e degli europei hanno fatto esattamente ciò che ci si attendeva da loro (il loro lavoro, il loro dovere, il distanziamento necessario), iniziando a ricostruire un percorso di accumulazione e crescita del capitale sociale, che è forse il vero antidoto ad ogni pandemia e l’unico vero driver per lo sviluppo socio-economico.